sabato 31 marzo 2007

Gli ingegneri di una volta..

Ai tempi in cui lavorava mio padre, nel mio paese c'era un bel polo chimico costituito da una manciata di industrie petrolchimiche per un totale di circa 1000 dipendenti.
Tra questi c'erano almeno 700 operai, tutti con al massimo la licienza media.
Quelli con le scuole professionali facevano i capo squadra o i capi turno a seconda del contesto. Ne erano un forse centianio.
I pochi con il titolo di perito facevano i capi reparto. Ne saranno stati al massimo una trentina, non di più.
Gli ingegneri invece erano tutti direttori o vice direttore, ne erano meno di una decina in tutto il polo industriale.

Ora, in quei tempi, nessuno si chiedeva se il perito potesse essere più bravo a fare questo o quel lavoro rispetto all'ingegnere. L'ingegnere era il direttore perchè aveva il titolo di studio più alto, aveva studiato di più, non c'era bisogno di aggiungere altro. Non bisognava provare nulla sul campo.
I lunghi anni passati all'Università per superare i "famosi" 28 esami parlavano da soli. Semmai si poteva discutere su quale fosse l'ingegnere più bravo, ma non aveva alcun senso confrontare il perito con l'ingengere o il perito con quello con le professionali.

Ognuno aveva il suo lavoro e nessuno si lamentava.
Ovviamente c'erano Periti Chimici, Ingegneri Chimici e quelli con le professionali avevano l'indirizzo Chimico,ma ognuno aveva i suoi differenti compiti. E non c'era assolutamente competizione tra diplomati e laureati.
Un volta presa la laurea era fatta, era l'azienda stessa che ti formava come direttore. L'università dava solo la teoria e bastava quella.

Mio padre in quel periodo si occupava di contabilità, era un diplomato in ragioneria e faceva giustamente il ragioniere..

martedì 27 marzo 2007

Le imprese cercano analfabeti

L'allarme di Mussi: "E' una mattanza"
BOLOGNA - "E' la mattanza dei laureati". A Bologna per una tavola rotonda su università e mondo del lavoro il
ministro Fabio Mussi non usa mezzi termini per commentare i numeri di una ricerca di Almalaurea sui livelli occupazionali dei laureati in Italia e in Europa. "Il paese si deve dare una mossa serve una scossa o altrimenti l'Italia non si riprenderà mai stabilmente". Parole che confermano cifre davvero allarmanti. "Abbiamo 12,5 laureati su 100, nella fascia tra i 24 e i 35 anni: la metà della media europea".

Stesso deficit anche per quanto riguarda gli universitari, mentre crescono i "fuori corso" con "21,5 studenti persi tra il primo e il secondo anno di università". Le colpe di un sistema che arranca? Secondo Mussi vanno cercate nella bassa composizione intellettuale del mercato del lavoro: "Le imprese cercano analfabeti". Del resto le statistiche confermano "la bassa propensione ad investire in ricerca e sviluppo". "Fa spavento il 2,3% di investimenti italiani sul valore aggiunto, cioè sulla ricchezza nuova prodotta - spiega Mussi - Mentre la media europea è del 5,5, la Germania è al 7,5, gli Stati Uniti all'8,7 e il Giappone al 9,6".

Via | repubblica.it

Un primo commento a caldo:

L'Italia ha un tessuto industriale diverso da quello degli altri paesi europei, ci sono più "impresucce" e meno multinazionali.
Probabilmente è proprio per questo che c’è meno bisogno di laureati rispetto alle altre nazioni.

Non so esattamente come stiano le cose, quello che però è chiaro è che qui in Italia ci sono molti più laureati di quelli che servono.

E questo spiega tutto.
Spiega perché i laureati sono cosi sotto pagati e sotto richiesti (c'è più offerta che domanda) e spiega perché molti laureati italiani sono costretti a emigrare all’estero.

Le Università Italiane sono diventate una fabbrica di disoccupazione e andrebbero fermate prima che diventi troppo tardi. Non ha alcun senso metterci a fare a gara con Germania o Francia per vedere chi sforna più laureati. Ogni nazione ha esigenze differenti. In Italia semmai si dovrebbe favorire la nascita e la crescita di aziende multinazionali gigantesche, le uniche in grado di valorizzare tutti questi laureati.
Le piccole medie imprese italiane, fondate e dirette da diplomati, sono alla ricerca di semplici "tuttofare" semianalfabeti. Per queste aziende i laureati sono una risorsa incomprensibile e inutilizzabile.

domenica 25 marzo 2007

Tassiamo gli spettacolini in TV

Logo PAIIl Partito degli Automobilisti nasce con l’intento di tutelare quella categoria di persone da tempo più tartassata in Italia: gli Automobilisti.
Il motto di questo partito è : “Meno tasse per gli Automobilisti e più tasse per chi lavora in televisione”. Effettivamente l’idea non è malvagia. Ci sono persone che prendono anche più di 10.000 euro per fare “comparsate” in televisione di pochi minuti; parliamo dei personaggi dei reality, dei presentatori tv, degli opinionisti vari, delle soubrette, dei salottisti ecc per questa categoria di persone la massima aliquota del 43% è troppo bassa, secondo il P.A.I. la si potrebbe portare almeno al 90%. In questo modo lo stato potrebbe sfruttare le nuove entrate per ridurre le accise sulla benzina, eliminare il bollo auto e sistemare la situazione stradale in generale.

Il Partito degli Automobilisti si è formato in questi giorni a Pescara e cerca persone motivate per completare l’organigramma della sua classe dirigente. Se qualcuno dovesse essere interessato può trovare maggiori informazioni nel sito ufficiale.

Via | partitodegliautomobilisti.blogspot.com

domenica 18 marzo 2007

Dal blog del laureato pentito

Tratto da: http://laureatopentito.blogspot.com/2007/03/dubbio-amletico.html

Mi soffermo un attimo a riflettere..
Provo ad immedesimarmi in un Governo. Spulcio le statistiche e trovo che il tasso di laureati in Italia è veramente sotto la media europea. Cosa faccio? Forse è abbastanza normale che le istituzioni dicano: "Mancano i laureati, specie quelli tecnici". Perchè poi l'Italia dovrebbe essere competitiva se non ha un tasso di scolarizzazione simile agli altri paesi europei?
E' qui, secondo me, il bug fondamentale.
Nessun governante di nessun paese europeo si sognerebbe di dire ai propri giovani: "Non serve che vi laureate".
Ed è per questo che anche in Italia nessuno lo dirà mai. Giustamente. Infatti il problema non è la laurea, ma l'applicazione della laurea.
Non credo che negli altri paesi i laureati si lamentino dei loro trattamenti economici e dei loro impieghi. In Italia invece si. E' proprio qui l'anomalia che ci differenzia. A questo punto ci sono due possibilità:
  1. Gli italiani sono geneticamente predisposti a lamentarsi dei propri lauti stipendi
  2. Quello che differenzia è il trattamento riservato dalle aziende ai laureati, alla scarsa considerazione per la vera ricerca, il fatto che l'Italia si basa sulla piccola media impresa che ha bisogno di tuttofare e non di veri specialisti.

Sulla base del secondo punto un governo o parlamento che sia, dovrebbe spingere a un radicale cambiamento della filosofia mentale delle aziende, che in Italia si sanno lamentare solo delle tasse e richiedono maggior flessibilità.

Quando si chiederà alle aziende italiane di dare un pò soddisfazione ai propri dipendenti laureati?Quando un laureato italiano si potrà sentire felice del proprio mestiere senza per forza dover espatriare o lasciare la sua famiglia? (tra parentesi..e poi si parla di favorire la famiglia..e si assitono a questi nuclei di persone che non hanno quasi il tempo neppure di dormire assieme)..

Certamente ci saranno isole felici, ne sono certo, ma se stiamo a scrivere e a leggere questi blog e se non li leggiamo dai colleghi finlandesi, inglesi o tedeschi, ci sarà pure un motivo..

Via | laureatopentito.blogspot.com

giovedì 8 marzo 2007

Nasce PoveraItalia.org

PoveraItalia.org è un sito che merita di essere visto, parla del lavoro che non c'è, del precariato dilagante e degli altri problemi che affligono un' Italia sempre più incapace di trattenere talenti veri.

Ecco la premessa dell'autore:


Perchè Poveraitalia.org ?
Perchè non ce la faccio più a parlare con la gente che non sa in che reali condizioni sia l’Italia. Ho deciso di aprire questo sito una sera che ho cenato con un mio amico. Siamo entrambi ingegneri usciti dalla vecchia Università Italiana. Quella seria, quella difficile, quella di qualità. Era stato ad un colloquio. Da 8 mesi è laureato ed è disoccupato… Eppur siamo nel ricco Veneto. L’azienda che lo ha chiamato era in ottima salute, non piccolissima e doveva sviluppare 2 nuovi prodotti. Bene, gli è stato proposto uno stage da 6 mesi per 400 euro al mese. E poi un bel calcione nel sedere. L’azienda avrebbe assunto altri 4 stagisti.
Abbiamo riflettuto: a questa azienda 5 ingegneri vengono a costare come 1 operaio. Questi 5 ingegneri avrebbero sviluppato i due nuovi prodotti e garantito il lavoro all’azienda per qualche anno. I 5 ingegneri in quei 6 mesi non si sarebbero potuti permettere di pagarsi due pasti al giorno.
E questa è l’ultima di una lunga lista di vicende incredibili che mi sono capitate dalla laurea fino ad oggi.

Voglio che la gente capisca che la classe imprenditoriale del nord Italia ci sta portando o ci ha portato all’inutilità delle figure professionali di alto livello.
E voglio che la smettano di dire in televisone e sui giornali che in Italia serve gente laureata.
Il conseguimento di una laurea non porta a nessun beneficio economico e non mi pare giusto che le famiglie più povere spendano “grossi soldi” e facciano sacrifici per far conseguire una cosa inutile ai loro figli.

Un paese campione del mondo nel gioco del calcio ma messo molto male “nelle cose serie”. I calciatori già ricchi di suo hanno preso una botta di soldi per aver giocato (voce del verbo giocare) le partitelle di pallone ai mondiali. Ed io dovrei fischiettare fieramente l’inno d’Italia mentre lavoro durante un mese spaccandomi la schiena per 500 euro con una laurea inutile in tasca.

Via | poveraitalia.org

lunedì 5 marzo 2007

Giovane laureato? Ahi ahi ahi..

Si registrano ancora una volta dati sconfortanti per i laureati italiani che nella nuova indagine di Almalaurea appaiono come un esercito di giovani colti ma lontani anni luce dall'agognato mondo del lavoro

a cura di Marta Ferrucci

Nulla di nuovo, penserà qualcuno, se non fosse per il fatto che i dati dell'indagine 2006 appena presentati sono, se possibile, peggiori di quelli dell'anno precedente e per trovare dati altrettanto bassi bisogna risalire al lontano 1999.

Ad un anno dalla laurea nel 2006 solo il 45% dei laureati triennali ha trovato lavoro nell'arco di un anno, contro il 52% dell'anno precedente. Oltre ad esserci meno laureati occupati anche gli stipendi hanno subito una flessione, al punto che un laureato del 2006 guadagna mediamente meno di un laureato del 2001. E se nel 2005 la metà degli occupati che trovavano lavoro riusciva ad ottenere un contratto a tempo indeterminato, nel 2006 l'impresa è riuscita solo ad un terzo di loro.

Sappiamo tutti che ad un diploma di laurea non corrisponde più un lavoro sicuro ma credevamo (erroneamente) di aver già toccato il fondo. Quel che avete letto fino a qui vi ha demoralizzato? Se siete uomini potete tirarvi su, le colleghe donne infatti stanno peggio di voi: hanno un tasso di occupazione più basso, guadagnano meno e sono ancora più precarie.

Ma se in Italia non sanno cosa farsene dei laureati, perchè le istituzioni si lamentano del fatto che da noi ce ne sono troppo pochi rispetto ad altri paesi? L'Italia ha meno laureati del Messico e poco più della Turchia, ciononostante il mercato del lavoro non riesce ad assorbirli ed anche il settore della ricerca è poco attenta ai suoi talenti, vedi il fenomeno dei cervelli in fuga. Una serie di contraddizioni difficile da conciliare e che vede l'Italia ancora una volta fanalino di coda in Europa.

I giovani sono avvertiti: chi si iscrive all'università lo faccia per il proprio interesse personale, per crescere culturalmente, senza aspettarsi che la laurea gli possa aprire le porte del mondo del lavoro. Anzi, a volte è proprio il contrario: "troppo qualificato..." ci si sente dire alla fine di un colloquio.

Via | studenti.it

domenica 4 marzo 2007

È ingegnere il neo disoccupato

La crisi e la riforma del lavoro danno un duro colpo alla laurea che fino a ieri assicurava posto sicuro e ben retribuito
È ingegnere il neo disoccupato
Nel solo 2004 c´è una flessione del 10 per cento degli assunti
di Silvia Pepe

Ingegnere. Età compresa tra i 28 e i 35 anni. Meglio se laureato con il massimo dei voti. È questo l´identikit del nuovo disoccupato "intellettuale". La crisi economica e la riforma del lavoro predisposta con la legge "Biagi", hanno decretato vita dura anche per gli ingegneri che fino a ieri hanno detenuto lo scettro dei laureati più occupati d´Italia. I più occupati ed i più veloci ad esser assunti all´indomani della laurea.
Il dato è allarmante. Nel 2004 si è registrato un meno 10 per cento di ingegneri industriali con un lavoro fisso. Ovvero, tutti i laureati in diversi settori, da quello aerospaziale a quello informatico, hanno avuto qualche problema a trovare una sistemazione entro il primo anno dal conseguimento della laurea. Si tratta di 12 mesi decisivi, quelli che, dicono le statistiche, rappresentano il momento migliore per cercare e trovare un lavoro. Per gli specialisti del campo edile, invece, la flessione è stata minima: nel 2004 vi sono stati solo il 3 per cento in più di disoccupati. Solo a Napoli vi sono oltre nove mila ingegneri iscritti all´albo. Troppi. Basti pensare che in tutta Italia gli ingegneri censiti nel 2003 erano 382 mila, di cui 309 mila già impiegati. Il mercato dunque ha difficoltà ad assorbire questi specialisti?

La risposta è semplice: per lavorare tutti meglio essere flessibili ed accettare di passare da un progetto all´altro nel giro anche di qualche mese e guadagnare poco.
«È vero, c´è stato un calo delle assunzioni a tempo indeterminato - spiega il professor Edoardo Benassai, membro del consiglio dell´ordine degli ingegneri e docente al dipartimento di idraulica dell´ateneo Federico II - Mentre qualche anno fa gli studenti con medie altissime, tra i 100 e i 110 e lode, erano reclutati dalle aziende immediatamente dopo la laurea (quasi sempre entro i primi due mesi), oggi si verifica un fatto nuovo: i neoingegneri non hanno più assunzioni a tempo indeterminato ma devono accontentarsi di contratti con scadenze che possono variare dai 6 mesi all´anno. Da un lato si rende precaria la vita dei giovani, dall'altro però si offre loro la possibilità di fare più esperienze lavorando su progetti diversi». «Tuttavia - aggiunge il professore Benassai - le cause bisogna cercarle proprio nel mutamento che l´occupazione sta avendo nel nostro paese».
Sotto accusa per gli ingegneri disoccupati oppure occupati "ogni tanto" vi sarebbe il cosiddetto Co. Co. Pro., Contratto di collaborazione a progetto, che delinea - secondo i detrattori ed i malcapitati che avevano faticato sui libri col miraggio di un lavoro più certo - scenari di sfruttamento e di conseguente licenziamento al termine del lavoro. Le parole sono quelle di tre ingegneri, Mirko Izzo, Vincenzo Pulcino e Giovanni Fiorentino. I primi due del settore aerospaziale, il terzo è uno specialista nel campo dell´elettronica. Mirko è disoccupato, ha 30 anni ed un curriculum da fuoriclasse. Eppure non trova lavoro da sei mesi. Vincenzo è un precario. Si è laureato un anno fa e, dopo avere partecipato a numerosi progetti, è stato costretto ad accettare un contratto a termine. «Ormai - dice - quando mando un curriculum non ricevo neanche la risposta. Ho lavorato con l´Esa, ho cercato di entrare in programmi con l´Alenia ma nulla da fare. Sempre più aziende optano per l´assunzione a tempo determinato, ti usano per il progetto in corso e poi ti cacciano. La maggiore parte di noi laureati, se ha avuto fortuna, è rimasta nell´università per conseguire un dottorato. Ma, al termine dei tre anni di specializzazione, se non troveranno subito un impiego, resteranno disoccupati». Giovanni, invece, è stato forse più fortunato. A due anni dalla laurea, dopo diversi contratti di collaborazione, è approdato alla IBM di Roma. «Il contratto è annuale, alla fine del 2005 sarò disoccupato».

Via | napoli.repubblica.it

sabato 3 marzo 2007

Laureati, colti e disoccupati.

E' l'università dei senza lavoro

Solo la metà di loro trova impiego a un anno dalla laurea. E’ il peggior risultato dal 1999 a oggi. E sono i più preparati ad avere maggiori difficoltà. Nel 2006 un laureato guadagna in termini reali meno di cinque anni fa. I risultati dell’indagine di AlmaLaurea.
di FEDERICO PACE

Iperqualificati, con qualche sogno in testa e sempre meno pagati. Destinati a emigrare, pur di evitare la disfatta. I laureati mostrano sul loro volto i segni delle sempre più acute contraddizioni di un intero paese dove il merito e le qualifiche non vanno quasi mai di pari passo con le opportunità e i compensi. Sul loro volto sono sempre più evidenti i segni del disagio provato di fronte a quella porta, quasi sempre socchiusa, che dovrebbe portarli al lavoro e alla maturità.

Quando una ragazza o un ragazzo con in tasca la laurea cerca un posto, pare di vedere un gigante che prova ad entrare attraverso la piccola porticina di una minuscola casa di lillipuziani. Tanti pochi e tanto poco adeguati sono i posti di lavoro che il sistema economico e il mondo delle aziende italiane prepara per loro. Addetti per i call center o cassieri di negozio che siano. Con il paradosso, che a questo punto pare quasi logico, che sono proprio i più preparati, quelli che prendono i voti più alti di tutti a ritrovarsi con il più basso tasso di occupazione. Tanto che a un anno dalla laurea, trovano lavoro solo quattro su dieci di quelli che hanno preso 110 e lode. Con la triste constatazione che nel 2006 un laureato guadagna al mese, in termini reali, meno di quanto guadagnava cinque anni fa il fratello maggiore.

Fenomeni conosciuti si dirà, ma il fatto è che quest’anno le cose sono andate ancora peggio. Tanto che per trovare un impiego non è neppure sufficiente aspettare un anno. I dati del triste record dicono che dopo la fatidica laurea, a un anno dal giorno della discussione della tesi, dai festeggiamenti e dai sorrisi e dalle congratulazioni, trova lavoro solo il 45 per cento dei laureati “triennali” (erano il 52 per cento l’anno scorso) e il 52,4 per cento dei laureati pre-riforma, ovvero il dato più basso dal 1999. I dati sono quelli della nona indagine sulla Condizione Occupazionale dei laureati italiani presentata oggi a Bologna da AlmaLaurea, il consorzio interuniversitario a cui aderiscono 49 università italiane. Ed è forse utile sapere che il convegno prevede per la mattina di sabato 3 marzo anche una tavola rotonda che dibatterà di questi numeri e a cui parteciperanno anche Fabio Mussi, il ministro dell’Università, e Cesare Damiano, il ministro del Lavoro, insieme ad Andrea Cammelli, il direttore di Almalaurea, e il presidente Crui Guido Trombetti.

Secondo l’indagine, l’instabilità che caratterizzava già molti degli impieghi degli anni scorsi si è fatta ancora più acuta. Sia per i laureati “triennali” che per quegli ultimi che stanno uscendo dal percorso previsto dal vecchio ordinamento. Solo un giovane su tre che ha conseguito una laurea breve - e ha trovato un impiego - è riuscito a siglare un contratto a tempo indeterminato. L’anno scorso l’impresa era riuscita al 40 per cento di loro. Stessa storia per i giovani che hanno ultimato il percorso di laurea del “vecchio ordinamento”, la quota di chi è riuscito ad avere un contratto stabile è scesa al 38,4 per cento. Il lavoro atipico dal 2001 a oggi è cresciuto di ben dieci punti percentuali.

“Seppure rimangono innegabili le miglior opportunità occupazionali e di retribuzioni di un laureato rispetto a quelle di un diplomato – ci ha detto Andrea Cammelli, direttore di AlmaLaurea - la ripresa economica del Paese ancora non coinvolge i giovani usciti dalle università che continuano a crescere una generazione di laureati invisibile e poco rappresentata. Il loro infatti non è solo un problema occupazionale, ma anche di esclusione dalla rappresentanza e dalla classe dirigente. Chi ha dai 25 ai 39 anni rappresenta il 30% della popolazione, ma è rappresentato da meno del 10% dei parlamentari.”

C’è poi lo stipendio. Quel sostegno che dovrebbe permettere alle nuove generazioni di prendere iniziative e decisioni, di mettere su famiglia, di provare a superare la sindrome di Peter Pan. Quel sostegno, è sempre più esile. I giovani laureati del post-riforma si ritrovano in tasca a fine mese solo 969 euro. Meno di quanto non fosse l’anno scorso. Prendono qualcosa in più i laureati pre-riforma che a fine mese arrivano fino a 1.042 euro. Poco più dell’anno scorso ma, al netto del costo della vita, ancora meno di quanto un neolaureato guadagnava cinque anni fa.

Senza dire che l’Italia vanta il minoro numero di laureati che lavora a cinque anni dalla laurea (l’86,4 per cento contro una media europea pari all’89 per cento). Scorrendo i dati dell’indagine di AlmaLaurea si ricava la triste conferma che nel cuore delle nuove generazioni, anche lì dove è opportuno che l’Italia sia più moderna e vicina all’Europa, covano e crescono le stesse antiche contraddizioni e disparità che gravano da tempo infinito sul corpo del malato Italia.

Le donne sono meno favorite rispetto agli uomini, hanno un tasso di occupazione più basso, sono più precarie e guadagnano meno dei loro colleghi uomini. A un anno dalla laurea lavora il 49,2 per cento delle laureate pre-riforma contro il 57,1 per cento degli uomini. E il gap salariale nel tempo non fa che crescere, tanto che a cinque anni dalla laurea le donne guadagnano un terzo meno di quanto non prendono gli uomini. Quanto alla precarietà a un anno dalla laurea il 52 per cento delle donne ha un contratto atipico contro il 41,5 per cento degli uomini. E la disparità è ancora più acuta per le laureate “triennali”, visto che solo il 34 per cento delle donne ha un impiego stabile contro il 48 per cento dei loro colleghi uomini.

Stesso discorso per le disparità territoriali. Nel 2006 sei laureati del Nord su dieci trova lavoro dopo un anno mentre per le regioni del Sud le cifre si fermano al 40 per cento. Ovvero le stesse quote nel lontano 1999. Senza dire che a cinque anni dalla laurea, i giovani del Mezzogiorno prendono 1.167 euro al mese mentre i ragazzi del Nord arrivano a 1.355 euro al mese.

Non c’è da stupirsi se allora molti di loro non si sentono valorizzati per quello che valgono e, seppure a malincuore, decidono di muoversi oltre confine per trovare migliori occasioni. All’estero, lì dove sembrano trovare rifugio e compenso. I laureati italiani che lavorano fuori dai confini nazionali, a cinque anni dalla laurea, arrivano a guadagnare quasi 2 mila euro, ovvero il 50 per cento in più di quanto non accada alla media complessiva dei laureati. Se non si mette mano a questo problema, se non si trova un articolato piano per valorizzare i talenti che escono dalle nostre facoltà, poco si potrà fare per dare slancio al nostro paese.

Via | repubblica.it